L’ultimo lavoro di Marco Tullio Giordana pone l’accento su un certo tipo di mentalità che tende a rendere labile il confine tra sopruso e avances
Marco Tullio Giordana ci ha abituato ai suoi eroi normali, persone comuni che combattono contro un sistema di potere, nel nome di un irrinunciabile ideale di giustizia. Nome di donna si aggiunge, così, a film come I cento passi, Lea, La meglio gioventù, impregnati di impegno civile. La sua protagonista, Nina, non combatte contro la mafia ma contro un sistema patriarcale che ritiene normale il ricatto sessuale. “Ora si chiamano molestie, un tempo si chiamavano complimenti” è la frase emblematica del film, pronunciata da una donna, a sottolineare il cortocircuito culturale per cui un abuso viene non solo accettato, ma addirittura difeso dalla vittima stessa.

Cristiana Capotondi
La trama
Nome di donna racconta la storia di una giovane madre (Cristiana Capotondi) che viene assunta come inserviente in una casa di riposo per anziani facoltosi e che decide di denunciare il suo datore di lavoro dopo che l’ha molestata. Dovrà affrontare non solo l’ostilità dei superiori, ma anche quella delle colleghe, che pure hanno subito la sua stessa sorte. Una storia di coraggio, di solitudine, anche, che pone l’accento su come sia pervasivo e ambiguo un certo tipo di mentalità che tende a rendere labile il confine tra sopruso e avances.
Il valore sociale
Al di là del valore artistico del film, a tratti troppo didascalico e un po’ sbrigativo nel finale, è da apprezzare quello sociale, per la sua capacità di rappresentare la realtà italiana, che fatica a prendere coscienza di un problema culturale che in altre parti del mondo sta deflagrando (vedi caso Weinstein). Nome di donna è una sorta di film manifesto, che va ad illuminare una zona d’ombra in cui gli abusi di potere si intrecciano agli squilibri di quello stesso potere tra uomini e donne.

Michela Cescon e Cristiana Capotondi
Il sostegno di Di.Re.
È per questo che l’uscita di Nome di donna è stata accompagnata dai dibattiti organizzati da Di.Re., la rete italiana dei centri antiviolenza. “Abbiamo deciso di accettare la proposta di Videa, la casa di distribuzione del film – dice Antonella Veltri, vice presidente di Di.Re. e tra le fondatrici del Centro Lanzino di Cosenza – perché pensiamo che anche attraverso il cinema si possa mantenere alta l’attenzione sui temi della violenza e delle varie forme che assume. Come quella della molestia, rappresentata nel film, che è subdola e difficilmente riconoscibile. Ecco anche perché ci sono i centri antiviolenza. Sostengono e aiutano le donne a riconoscere tutte le forme della violenza”.
Nome di donna, finale aperto
Il finale di Nome di donna è aperto. Una battaglia è vinta ma altre ce ne saranno da combattere. La strada che conduce alla parità, insomma, è lunga. Anche se tanti passi sono stati già compiuti. E questo film, che Giordana dirige su commissione, da una sceneggiatura dell’ex giornalista Cristiana Mainardi, è un passo davvero significativo.
Simona Negrelli
Nome di donna
Regia di Marco Tullio Giordana
con Cristiana Capotondi, Valerio Binasco,
Stefano Scandaletti, Michela Cescon, Bebo Storti
visto al cinema Modernissimo di Cosenza